Il “buonasera” alle migliaia di “fratelli e sorelle”
che lo applaudivano dalla piazza era un altro segnale di coerenza con la scelta
del suo nuovo nome da Pontefice e Vescovo di Roma. Perché molti sono riandati
con la memoria al Cantico delle Creature del santo poverello d’Assisi. Che
amava tanto Madonna povertà da farsi povero da ricco che era, tanto da
andarsene in giro a piedi scalzi invece che in sella ai cavalli di razza delle
scuderie assisiati, da chiamare fratelli e sorelle le cose semplici del Creato,
non i tesori del mondo e il potere sul mondo.
Da un cardinale che se ne va in giro con i mezzi
pubblici o a piedi per i quartieri più poveri della sua Buenos Aires e che vola
in classe turistica, c’era da attendersi una tale scelta. Un colto cardinale
argentino di origini piemontesi che conosce bene la letteratura per averla
insegnata (assieme alla psicologia) negli anni Sessanta, che ha studiato teologia
e filosofia ha scelto dunque di chiamarsi, per la prima volta nella storia
della Chiesa, con il nome del poverello per antonomasia.
Qualcuno ha creduto di vedere già in questo una dichiarazione di distanza ideologica e di contrapposizione al passato della Chiesa, se non che la figura di Francesco d’Assisi, se ben approfondita, rivela tutt’altro. Nel senso che il santo non aveva nessuna intenzione di contrapporsi frontalmente alla Chiesa e al Papa: anzi, operò in modo da combattere le eresie pauperistiche che nel Duecento avevano fatto molti proseliti riportando alla Chiesa molta gente, non con proclami ideologici e teologici, ma semplicemente con l’esempio. Francesco non saliva sui pulpiti, ma divideva quello che aveva con i poveri e i malati. Credeva in quello in cui credeva la Chiesa universale, non aggiungeva glosse ai vangeli, non faceva comizi nelle pubbliche piazze.
Qualcuno ha creduto di vedere già in questo una dichiarazione di distanza ideologica e di contrapposizione al passato della Chiesa, se non che la figura di Francesco d’Assisi, se ben approfondita, rivela tutt’altro. Nel senso che il santo non aveva nessuna intenzione di contrapporsi frontalmente alla Chiesa e al Papa: anzi, operò in modo da combattere le eresie pauperistiche che nel Duecento avevano fatto molti proseliti riportando alla Chiesa molta gente, non con proclami ideologici e teologici, ma semplicemente con l’esempio. Francesco non saliva sui pulpiti, ma divideva quello che aveva con i poveri e i malati. Credeva in quello in cui credeva la Chiesa universale, non aggiungeva glosse ai vangeli, non faceva comizi nelle pubbliche piazze.
Volle diventare ed essere considerato pietra
scartata perché la Chiesa divenisse testata d’angolo, non se stesso. Questo
essere-per-l’altro, questa attenzione per i poveri e gli ultimi lo ha portato
ad essere uno dei santi più amati nel mondo cristiano, e il suo Cantico delle
creature, pur nella sua semplicità e nella sua “petrosa” scansione del dialetto
umbro, è divenuto uno dei testi più esemplari della letteratura (non solo di
quella religiosa) mondiale. E questo il “colto” Papa che ora porta il suo nome
lo sa bene.
Come si vede, il nome Francesco torna sia nella
scelta di aiutare gli ultimi e di essere povero tra i poveri. Una scelta che
parla chiaro a livello “ideologico”: Francesco rimase sempre fedele agli
insegnamenti della Chiesa, non allontanandosi mai da essi pur nella sua
missione tra gli ultimi. La scelta di questo nome può significare anche e
soprattutto questo: cercare Dio nei territori di confine restando ancorati alla
“patria” Chiesa. Si parla di discontinuità con Benedetto XVI, ma questo amore
per le “distanze” dettate dalla miseria e della povertà, richiama quella scelta
della “distanza” e del nascondimento per rimanere nell’amore per la Madre
Chiesa del suo predecessore.
(Marco Testi - Sir
Attualità, 14 marzo 2013)
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