All’origine vi
era il culto di coloro che avevano testimoniato al prezzo della vita la fedeltà
al Cristo. Con il tempo iniziarono ad essere compresi vescovi e quanti avessero
dato prova di esemplare coerenza con il Vangelo. E poi ci fu la volontà di
sovrapporre il messaggio cristiano della comunità dei santi in Dio a quello
pagano dei tanti dèi, culminata con la trasformazione del tempio per eccellenza
che simboleggiava il politeismo, il Pantheon romano, nella chiesa dedicata non
solo alla Santa Vergine, ma anche a tutti i martiri. Correva l’anno 609. Ma il
giorno scelto era ancora lontano dal primo di novembre, visto che il Papa di
allora, Bonifacio IV, aveva optato per il 13 maggio, probabilmente
conformandosi alla tradizione incentrata sui periodi seguenti alla Pentecoste o
alla Pasqua.
Uno si potrebbe
chiedere cosa c’entri il freddo novembre con i tepori della tarda primavera: la
risposta è racchiusa nell’opera di un altro Pontefice, Gregorio IV, che,
stabilendo nell’835 il primo novembre come Festa di Tutti i Santi, si
ricollegava ad una analoga datazione in auge in alcuni paesi, le Gallie, ad esempio,
l’Irlanda, o l’Inghilterra, che avevano in comune l’appartenenza al mondo
celtico. E qui, alcuni tra i lettori avranno già capito, arriviamo alla
questione di Halloween. Secondo alcuni, infatti, Halloween è contrazione delle
parole “All Hallows’ Eve”, vale a dire vigilia di Tutti i Santi, il che si
accorderebbe con la tradizione celtica di porre il cambio tra stagione mite e
quella fredda (non dimentichiamoci che siamo in zone nordiche, dove il freddo è
più intenso e dove le foreste predominano) il primo novembre: poiché questa
data segnava anche un radicale cambiamento delle attività lavorative, essa
rappresentava la fine dell’anno.
In questo
momento di passaggio (e tutti i riti antichi in cui comparisse una soglia, un
confine anche cronologico da varcare erano riti di passaggio) vi era una
transizione tra cielo e terra, tra l’altrove assoluto e il qui e l’ora, che
poteva per un attimo, in questo caso una notte, permettere il passaggio sulla
terra degli spiriti dei defunti, i quali andavano o blanditi con dolci o
spaventati a loro volta con maschere grottesche.
Questa
accezione di anime propense a spaventare la gente non poteva piacere alla
Chiesa che invece accentuava il ruolo del Cristo Salvatore e la sua funzione,
con la vittoria sulla morte, di consolatore di ogni lacrima e di ogni
sofferenza: “non vi sarà più la morte né lutto”, si legge nella Apocalisse.
Sulla spinta
della vigile abbazia di Cluny (si noti che anche qui siamo in una terra
anticamente abitata dai Celti), fin dal decimo secolo, si rese stabile la data
della commemorazione delle anime dei defunti il 2 novembre (data che poi sarà
definitivamente accettata dal Pontefice all’inizio del XIV secolo), che
peraltro si era già stabilizzata in gran parte dell’Europa
centro-settentrionale. Una questione di contrapposizione “critica”.
La festa dei
Santi significa qualcosa di meno cupo della attuale sovrapposizione al
contrario, visto che la base celtica è tornata a prendere il posto di quella
cristiana. Lungi da noi la tentazione di esecrare moralisticamente questa forma
di festa: non possiamo non notare però come essa sia a sua volta uniformata non
a erudite riprese neo-celtiche, di cui non può importare di meno alla gente, ma
ad un banale consumismo fatto di feste, maschere, costumi. La festa cristiana
ricorda altro: la possibilità di una vita meno legata ad un presente
banalizzato e più attenta alle drammatiche necessità di chi giace nel bisogno,
non solo materiale. Santificazione significa anche questo, sfuggire ai
tentativi di rimozione di una realtà spiacevole e testimoniare una fede che non
può essere solo apparenza.
(Marco Testi – Sir Attualità, 29 ottobre 2013)