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giovedì 31 ottobre 2013

Radicale diversità di Halloween


 

All’origine vi era il culto di coloro che avevano testimoniato al prezzo della vita la fedeltà al Cristo. Con il tempo iniziarono ad essere compresi vescovi e quanti avessero dato prova di esemplare coerenza con il Vangelo. E poi ci fu la volontà di sovrapporre il messaggio cristiano della comunità dei santi in Dio a quello pagano dei tanti dèi, culminata con la trasformazione del tempio per eccellenza che simboleggiava il politeismo, il Pantheon romano, nella chiesa dedicata non solo alla Santa Vergine, ma anche a tutti i martiri. Correva l’anno 609. Ma il giorno scelto era ancora lontano dal primo di novembre, visto che il Papa di allora, Bonifacio IV, aveva optato per il 13 maggio, probabilmente conformandosi alla tradizione incentrata sui periodi seguenti alla Pentecoste o alla Pasqua.
Uno si potrebbe chiedere cosa c’entri il freddo novembre con i tepori della tarda primavera: la risposta è racchiusa nell’opera di un altro Pontefice, Gregorio IV, che, stabilendo nell’835 il primo novembre come Festa di Tutti i Santi, si ricollegava ad una analoga datazione in auge in alcuni paesi, le Gallie, ad esempio, l’Irlanda, o l’Inghilterra, che avevano in comune l’appartenenza al mondo celtico. E qui, alcuni tra i lettori avranno già capito, arriviamo alla questione di Halloween. Secondo alcuni, infatti, Halloween è contrazione delle parole “All Hallows’ Eve”, vale a dire vigilia di Tutti i Santi, il che si accorderebbe con la tradizione celtica di porre il cambio tra stagione mite e quella fredda (non dimentichiamoci che siamo in zone nordiche, dove il freddo è più intenso e dove le foreste predominano) il primo novembre: poiché questa data segnava anche un radicale cambiamento delle attività lavorative, essa rappresentava la fine dell’anno.
In questo momento di passaggio (e tutti i riti antichi in cui comparisse una soglia, un confine anche cronologico da varcare erano riti di passaggio) vi era una transizione tra cielo e terra, tra l’altrove assoluto e il qui e l’ora, che poteva per un attimo, in questo caso una notte, permettere il passaggio sulla terra degli spiriti dei defunti, i quali andavano o blanditi con dolci o spaventati a loro volta con maschere grottesche.
Questa accezione di anime propense a spaventare la gente non poteva piacere alla Chiesa che invece accentuava il ruolo del Cristo Salvatore e la sua funzione, con la vittoria sulla morte, di consolatore di ogni lacrima e di ogni sofferenza: “non vi sarà più la morte né lutto”, si legge nella Apocalisse.
Sulla spinta della vigile abbazia di Cluny (si noti che anche qui siamo in una terra anticamente abitata dai Celti), fin dal decimo secolo, si rese stabile la data della commemorazione delle anime dei defunti il 2 novembre (data che poi sarà definitivamente accettata dal Pontefice all’inizio del XIV secolo), che peraltro si era già stabilizzata in gran parte dell’Europa centro-settentrionale. Una questione di contrapposizione “critica”.
La festa dei Santi significa qualcosa di meno cupo della attuale sovrapposizione al contrario, visto che la base celtica è tornata a prendere il posto di quella cristiana. Lungi da noi la tentazione di esecrare moralisticamente questa forma di festa: non possiamo non notare però come essa sia a sua volta uniformata non a erudite riprese neo-celtiche, di cui non può importare di meno alla gente, ma ad un banale consumismo fatto di feste, maschere, costumi. La festa cristiana ricorda altro: la possibilità di una vita meno legata ad un presente banalizzato e più attenta alle drammatiche necessità di chi giace nel bisogno, non solo materiale. Santificazione significa anche questo, sfuggire ai tentativi di rimozione di una realtà spiacevole e testimoniare una fede che non può essere solo apparenza.
(Marco Testi – Sir Attualità, 29 ottobre 2013)

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